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mercoledì 17 marzo 2010

La banda razzista della Magliana


di Cinzia Gubbini
Ragazzini, che i carabinieri starebbero per identificare, e un’ideologia strisciante di estrema destra che si sta facendo strada tra i casermoni del quartiere romano della Magliana. Potrebbe esserci questo dietro al raid che domenica sera ha mandato all’ospedale quattro persone originarie del Bangladesh, e che ha distrutto il bar «Brothers», uno dei punti di ritrovo della comunità del Bangladesh, nonché uno dei pochi punti di luce di via Murlo, stradina laterale dove alle sei di sera (la stessa ora in cui c’è stato l’attacco) non c’è neanche un lampione acceso.
Sono entrati in quindici, forse venti.Tutti maschi, alcuni molto giovani, altri più grandi. Un particolare importante: a volto scoperto. Che significa impunità, copertura del quartiere. O forse solo sfrontatezza malriposta, perché tanta tracotanza potrebbe aver accorciato il mistero: i carabinieri sono già sulle loro tracce, per tutta la giornata e nella notte si sono susseguiti gli interrogatori.
D’altronde, davanti al bar «Brothers», con i vetri spaccati e ancora le tracce di sangue sul pavimento, una cosa sembrava chiara: erano in molti a sapere chi fosse stato. Forse non proprio nome e cognome, ma i gruppetti che perseguitano gli immigrati sono noti a tutti. Tra di loro si chiamano «la commitiva», forse anche con tre «m». Sostano in una piazzetta del quartiere, si spostano in motorino, hanno tra i 15 e i 20 anni e ce l’hanno con i neri. «Ragazzini, ragazzini cresciuti male. Non sanno che fare e se la prendono con noi», vale un’analisi sociologica l’osservazione di Huddin, anche lui due mesi fa vittima di un’aggressione a tarda sera, quando tornava da lavoro: si sono fermati due ragazzi in motorino, gli hanno chiesto una sigaretta, «non fumo» la risposta «e perché non fumi?», poi la richiesta di soldi. E alla fine gli spintoni, con qualche epiteto razzista e la frase di rito: «Tornatene a casa tua».
Di racconti così ce ne sono a decine. Ma chi siano i ragazzini che si divertono a farla pagare agli immigrati - e in particolare i bangladeshi, proprio perché sono tranquilli e non reagiscono facilmente alle provocazioni - li conoscono benissimo anche «gli italiani» (le virgolette sono d’obbligo, visto che diversi immigrati qui hanno la cittadinanza, compreso il titolare del Brothers). Ieri in parecchi sostavano a via Murlo, avevano voglia di dire la loro e soprattutto di difendere
l’immagine della Magliana: «Finitela con questa storia del razzismo, questo è un posto tranquillo». La solidarietà verso chi è stato ferito c’è a parole («certo, così non si fa»), ma più forte è il fastidio per il degrado che si respira in quella strada: «Qui di sera non si può passare. Qualcuno evidentemente non ce l’ha fatta più e alla fine ha reagito», dice una signora con la busta della spesa, che stabilisce una sottilissima e velenosissima linea di demarcazione: «Non è un attacco razzista, tutt’al più è una punizione». In molti approvano: certo, una punizione, il quartiere prima o poi reagisce. E sul bar di via Murlo, più d’uno dice: «Li avevano avvertiti».
Si narra, ma è tutto da verificare, che le cose siano andate più o meno così. Prima una lite tra alcuni quindicenni e alcuni ragazzi del Bangladesh (ma nessuo a via Murlo ricorda screzi), i quali sarebbero quindi andati a chiamare «quelli più grandi» in un bar della zona, notoriamente frequentato da gente di destra e con qualche precedente penale, che avrebbe colto la palla al balzo per «difendere» i ragazzini italiani. Il raggruppamento sarebbe avvenuto in una strada adiacente a via Murlo, anche se le telecamere della vicina banca non hanno ripreso nulla.
Di certo c’è soltanto che chi ha spaccato i vetri e il locale di Mohammed Masum
Miam lo ha fatto con paletti trovati per strada e gambe di tavolini. Secondo il comandante dei carabinieri Alessandro Casarsa è un elemento che ne connota la non premeditazione: «Sono oggetti facilmente reperibili e non riconoscibili come armi». Altro elemento che viene preso in considerazione è che, prima di andarsene, i cavalieri senza macchia che vogliono ripulire il quartiere si sono intascati circa duecento euro trovati in cassa. Se ci sia una matrice politica è tutto da verificare. Fa pensare, però, che proprio la sera prima le vie del quartiere si siano riempite di scritte che recitano: «Il quartiere cambia, Magliana nera».
Ma la Magliana non è fatta soltanto dei ragazzini della «commitiva» che vivono
la strada e che cercano il brivido compiendo la bravata di turno. E’ anche un quartiere con un tessuto associativo che proprio in questi anni sta rinascendo,
con una storia di lotte popolari, e dove - lasciando stare la storia, che ricordano in pochi - di giorno è pieno di famiglie e bambini, nei negozi si confondono famiglie italiane e straniere come nelle scuole. Solo che passate le nove è il deserto dei tartari. In una zona che ospita circa 20 mila persone non c’è un cinema, non c’è un teatro, non c’è - neanche di giorno - un luogo di aggregazione giovanile. I ragazzini si ritrovano nelle pizzerie al taglio e nelle sale giochi il pomeriggio, e la sera al bar - quei pochi che rimangono aperti. Chi, tra gli adulti, sia italiani che stranieri vuole farsi una bevuta pesante va a via Murlo dove c’è un alimentari gestito sempre da bangladeshi che vende vino a pochi euro.
E’ questo vuoto sociale che mettono sotto accusa i ragazzi di «Insensinversi». Da un paio di anni hanno aperto una scuola di italiano per stranieri, sono riusciti a creare un buon dialogo con moltissime persone, vogliono avviare un progetto più ampio che cerchi di intercettare proprio i ragazzini della Magliana per coinvolgerli in attività interculturali «ma chi fa un lavoro di questo tipo - racconta Simone Sestieri - non viene facilitato, tutt’altro». C’entra la politica nell’attacco dell’altra sera? «Questo non lo sappiamo, di certo un progetto politico di estrema destra sta prendendo piede in questa zona e sicuramente tra questi ragazzini che non hanno niente da fare tutto il giorno si trova una manovalanza pronta a riconoscersi in ideologie di quel tipo. Ma ci si può lavorare, e fermare questo declino, basta volerlo».

da IlManifesto

Camerata Zarate, presente! Insieme alla Polverini... .


Questa foto, scattata domenica all'Olimpico in occasione di Lazio-Bari, dimostra tutta la cultura politica di una curva e di Mauro Zarate, attaccante della squadra biancoazzurra.

Per Zarate non c'è nemmeno la scusante delle umili origini e magari di una bassa cultura. Il numero dieci della Lazio proviene infatti da una famiglia piuttosto ricca e, probabilmente, magari piena di nostalgie verso la dittatura di Videla (quella che i dissidenti li gettava in mare dall'elicottero). Illuminante il confronto tra le reazioni a questo gesto (nessuna) e quelle che sono seguite nei confronti di Balotelli quando ha manifestato insofferenza per i cori razzisti a Verona. Balotelli è stato colpevolizzato ed accusato di non saper fare il calciatore mentre, per Zarate, fare il saluto romano e contribuire a propagandare il fascismo in un luogo pubblico fa parte della più tranquilla normalità. Siccome un calciatore può essere squalificato anche per i gesti allo stadio, e non solo se sta giocando, il paragone con Paolo Di Canio è illuminante.

Cinque anni fa Di Canio, per un saluto romano dopo Livorno-Lazio, fu squalificato per una giornata. E al governo c'era il centrodestra. Oggi è tutto nella norma anzi, i media ritengono che non sia neanche opportuno sollevare l'attenzione su questo gesto. Questa naturalizzazione del fascismo dovrebbe far capire qualcosa al centrosinistra. Non è che omettendo di denunciare questi gesti pubblici che il fenomeno si sgonfia. Anzi, l'apologia del fascismo e dello squadrismo finisce per essere considerata naturale come se si trattasse di una conversazione durante una passeggiata. Del resto uno striscione enorme "Roma è fascista", in occasione di un Roma-Livorno, non trovò neanche un filo di critica presso l'allora sindaco della capitale Veltroni (che nello stesso anno intitolò una via al fascista Paolo Di Nella). Il centrosinistra, a furia di cercare di assorbire fenomeni, sta quindi giocando con un fuoco che rischia di bruciarlo (e noi con lui).

E che dire di quel genialoide di consigliere comunale del centrosinistra che a Livorno voleva ripristinare "la sovranità democratica in curva" contro la cultura di sinistra della nord ?
Lo vogliamo vedere subito al campo di allenamento della Lazio a chiedere il ripristino della sovranità democratica.
Il difensore della democrazia si vede nei momenti difficili.

P.s: Inutile rammentare che insieme a Zarate era presente in balaustra anche la candidata del PdL alla Regione Lazio Renata Polverini. Una scena pietosa che racconta senza ulteriori commenti la ridicolezza sia della candidata che della curva-business della Lazio

da Indymedia

NOMADI - DIO E' MORTO



NOMADI - DIO E' MORTO

Ho visto
La gente della mia età andare via
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
Nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già
Lungo le notti che dal vino son bagnate
Dentro le stanze da pastiglie trasformate
Lungo le nuvole di fumo, nel mondo fatto di città,
Essere contro od ingoiare la nostra stanca civiltà
E un Dio che è morto
Ai bordi delle strade Dio è morto
Nelle auto prese a rate Dio è morto
Nei miti dell'estate Dio è morto.
Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell'eroe
Perché è venuto il momento di negare tutto ciò che è falsità
Le fedi fatte di abitudini e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un Dio che è morto
Nei campi di sterminio Dio è morto
Coi miti della razza Dio è morto
Con gli odi di partito Dio è morto.
Ma penso
Che questa mia generazione è preparata
A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi
Perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni
E poi risorge
In ciò che noi crediamo Dio è risorto
In ciò che noi vogliamo Dio è risorto
Nel mondo che faremo
Dio è risorto,
Dio è risorto