HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

giovedì 21 gennaio 2010

Nardò: mobilitazione per Vendola presidente

In questi pochi giorni che ci separano dalle primarie di domenica 24, Sinistra Ecologia e Libertà - Nardò si mobilita a sostegno del presidente uscente Nichi Vendola con banchetti in giro per la città per la distribuzione di volantini e materiale informativo per difendere l’esperienza innovativa di governo di questi anni.


....E VENERDI' 22 tutti a LECCE hotel Tiziano con Vendola ore 19!


Queste sono le iniziative:

- 21 Gennaio Volantinaggio e raccolta firme Corso Galliano 18- 21

- 21 Gennaio Volantinaggio a fine partita del Nardò vicino lo stadio

- 22 Gennaio volantinaggio 9-12 Mercato

- 22 Gennaio tutti a Lecce hotel Tiziano con Vendola ore 19 incontro in sede alle 18 per organizzare auto

- 23 Gennaio chi può a Bari per comizio finale Vendola

- 23 Gennaio volantinaggio ore 18-21 Piazza Salandra

- 24 Gennaio tutti a votare ore 8-21 Seggio Chiostro dei Carmelitani

Sono stati indicati scrutatori del seggio per Vendola
Renato Negro
Salvatore De Benedittis

Rappresentanti di lista
Danio Aloisi
Antonio Pagliula

Votiamo Vendola per la Puglia e per l'Italia

di Luigi Bosco

Appartenendo come tanti altri alla diaspora salentina, non voterò alle prossime primarie, ma se ci fossi sono sicuro che voterei per Nichi Vendola.
E’ stato un buon governatore anche se, come tutti, ha fatto degli errori ed è sicuramente il migliore fra i candidati possibili al di qua e al di là del centro sinistra. Sebbene importante, non è questa la ragione principale per la quale lo voterei; non lo voterei tanto per amore della Puglia quanto per amore dell’Italia.io del post.

Quello che si sta consumando in Puglia è uno scontro fra due visioni diverse del centrosinistra. La prima è quella dalemiana che vuole un centrosinistra che sia una mera espressione di apparati politici e di gruppi dirigenti che quando da soli non bastano, cercano alleanze con altri apparati e altri gruppi dirigenti in accordi tattici e necessariamente poco chiari. L’altra è quella che si ricollega all’esperienza dell’Ulivo che vuole un centrosinistra che nasca dal basso e coinvolga direttamente i cittadini chiamandoli all’impegno diretto e alla partecipazione. Un centrosinistra di apparato contro un centro sinistra di popolo, si potrebbe dire con un pizzico di retorica.
L’unico centrosinistra che si merita la mia attenzione e il mio impegno è il centrosinistra di popolo che inviti i cittadini a farsi parte attiva nel processo decisionale e che sia in grado di catalizzare tutta la grande voglia di partecipazione politica che esiste nel Paese, ma che non trova referenti politici credibili.
Questa preferenza non è dettata da romantico idealismo, quanto dalla banale osservazione realistica che solo il centrosinistra di popolo ha possibilità di vincere perché è l’unico in grado di porre al centro della sua politica un sistema di valori alternativo alla destra e al berlusconismo anche nei modi della politica. Un centrosinistra che escluda i cittadini e che si chiuda nelle segrete stanze del potere non solo sarebbe tristemente simile al PdL, ma sarebbe anche condannato a perdere senza speranza.
Per questo nell’interesse dell’Italia e della sinistra spero proprio che vinca Vendola e la visione dalemiana della politica venga sconfitta. E invito i pugliesi ad aiutare gli italiani a ritrovare un centrosinistra che riscopra i propri valori fondanti e l’entusiasmo e l’orgoglio necessari per far uscire il nostro paese dal medioevo berlusconiano.

"Lascio il Pd per sostenere e votare Nichi Vendola"


In una lettera, che riportiamo di seguito in versione integrale, Carlo Salvemini spiega le motivazioni che lo hanno portato a dimettersi da componente le assemblee provinciale, regionale e nazionale del Partito democratico

Al segretario provinciale
al segretario regionale
al presidente dell'assemblea regionale
al presidente dell'assemblea nazionale


Cari amici,

vi comunico la mia decisione di dimettermi da componente dell'Assemblea Provinciale, Regionale e Nazionale del PD.
E' una decisione che considero dolorosamente inevitabile, avendo personalmente deciso di votare Niki Vendola alle prossime primarie del 24 gennaio e non Francesco Boccia, candidato ufficiale del partito.
Non è la mia, naturalmente, una semplice preferenza personale, un giudizio sulla qualità delle persone. Ma una decisione politica che scaturisce dalla valutazione di una vicenda che da mesi vede impegnato il partito regionale e nazionale.
Per chi come me ha partecipato alle primarie del 2007 e del 2009 affidando al progetto del PD passione, impegno, entusiasmo e illusioni, lasciare il partito è una manifestazione di sofferenza che giunge dopo lunghe riflessioni personali. Nel corso delle quali ho pazientemente tentato di convincermi che il dissenso sulla gestione della candidatura per la Regione Puglia potesse essere vissuto, come in altre occasioni pure è avvenuto, da iscritto in distonia con la linea ufficiale legittimamente assunta dalla maggioranza, senza tuttavia mettere in discussione l'appartenenza al progetto del PD.
Sono giunto alla conclusione che così non è.
Decidere di votare e far votare Niki Vendola alle primarie, non è compatibile, a mio avviso, con il ruolo di dirigente, pur marginale e periferico, del PD che presenta agli elettori di Puglia un suo candidato ufficiale.
Da oggi al 24 gennaio non intendo nascondere le mie opinioni.
Mi rendo perfettamente conto che il mio impegno per l'avversario di Francesco Boccia sarebbe vissuto con comprensibile disagio, e qualche irritazione, tra molti dei nostri iscritti. Né desidero mettere in imbarazzo nessuno, ora che si parla di possibili espulsioni e richiami alla disciplina di partito. Avverto in pieno il supplemento di responsabilità, trasparenza e rigore cui è chiamato un dirigente di partito. E poiché non intendo in alcun modo contribuire ad ambiguità e ipocrisie, dichiaro da subito con chi sto e ne traggo le conseguenze. Nel mio piccolo mi sono sempre speso per fare del PD il luogo in cui poter parlare il linguaggio della verità, della coerenza, della trasparenza e della responsabilità. E non intendo venire meno a questo impegno in un passaggio così importante.
Ho partecipato ai lavori dell'Assemblea regionale che ieri ha approvato la candidatura di Boccia e il ricorso alle primarie, dopo mesi di stallo e di posizioni ondivaghe e contraddittorie.
Non ho trovato nelle sue parole, né in quelle di Sergio Blasi e dei tanti, D'Alema in testa, che hanno argomentato sull'inevitabilità di questa scelta, motivi e ragioni tali da indurmi a fare mia la posizione ufficiale del partito.
Non riesco a fare mia l'idea che si possa celebrare un congresso regionale che si conclude con l'impegno unanime del PD a ripartire da Vendola e poi disattenderne l'esito argomentando il diritto del nostro partito a candidare un suo rappresentante.
Non riesco a fare mia la retorica di chi rivendica al PD la guida della coalizione, intende affermare un'egemonia politico-culturale nel campo del centrosinistra e decide di subire le arroganti decisioni di un alleato, l'UDC, che non condivide con noi il giudizio sull'attività del governo regionale, tanto da essere tuttora all'opposizione; che non intende partecipare allo strumento cardine del primarie, iscritto nello statuto del nostro partito; che pone pregiudizi politici e personali nei confronti del Presidente in carica, al punto da non considerarlo candidato naturale neanche in caso di una sua eventuale vittoria.
Non riesco a fare mio l'argomento di chi descrive il caos politico di questi mesi, il venir meno del PD al rispetto doveroso del principio di coerenza, come semplice rappresentazione di un confronto libero e trasparente; e non anche come l'esito di errori, incertezze, contraddizioni e ambiguità di un gruppo dirigente indisponibile a fare autocritica e che si consegna alle primarie, dopo averle a lungo avversate, come rimedio e non come scelta.
Non riesco a fare mia la posizione di chi parla da mesi di indispensabile e condivisibile allargamento delle forze della coalizione senza impegnarsi a scrivere i punti politico-programmatici fondamentali della nuova alleanza per la Puglia.
Non riesco a fare mia la conclusione che il PD possa accettare di andare alla primarie consapevole che il perimetro della coalizione, di cui ci si dichiara perno e garanti, è condizionato dall'esito del voto: con un alleanza, cioè , che include l'UDC e Sinistra e Libertà solo se vince Boccia e invece si priva dell'apporto di Casini e compagni se s'afferma Vendola.
Non riesco a fare mia la suggestione di un fronte politico alternativo al centrodestra costruito con chi, l'UDC, in altre regioni intende aiutare alla vittoria il PdL.
Non riesco a fare mia la tattica di una santa alleanza per il Mezzogiorno con chi, l'UDC, ancora governa con il PDL nella Lombardia di Bossi e Formigoni, o è suo prossimo alleato in Lazio e Campania; o con chi indossa da mesi la bandiera della difesa di un Sud mortificato e offeso dalle politiche del governo e poi si reca da Berlusconi per contrattare un suo rientro nel PDL di Puglia (Adriana Poli Bortone).
Non riesco a fare mia la considerazione che non c'è contraddizione nel raccontare una "Puglia migliore" nell'urbanistica, nei servizi sociali, nel turismo, nell'ambiente, nelle politiche giovanili, nel sostegno alle imprese, nella cultura grazie anche al lavoro di uomini e donne del PD, e poi decidere che per proseguire il lavoro svolto bisogna fare a meno di Niki Vendola, suo mentore e simbolo.
Sono argomenti che già conoscete, anche perché largamente condivisi in tanti elettori del nostro partito. A me paiono troppo seri e dirimenti per immaginare di poterli eludere attraverso il semplice richiamo alla disciplina di partito, alla sua unità, alla solidarietà doverosa nei confronti di chi ha accettato questa difficile sfida delle primarie.
Ho tentato, invano, di condividere un'occasione pubblica di confronto per ascoltare le reciproche ragioni e garantire un momento di partecipazione tra iscritti, elettori, e dirigenti prima di assumere decisioni definitive. Ma la mia lettera del 12 dicembre scorso, accompagnata da sessanta firme di segretari di circolo, eletti, semplici iscritti e indirizzata al segretario regionale e a quello provinciale, è stata totalmente ignorata. A ulteriore conferma di un'idea di coinvolgimento dei circoli e di protagonismo della base evocata spesso e praticata mai. Un silenzio incomprensibile che rivela, evidentemente, un'idea diversa di quel partito comunità che a parole diciamo di voler costruire. Che non può essere un luogo immaginario, ma lo spazio reale dove il semplice tesserato diventa protagonista consapevole.
Ecco perché, dopo aver contribuito marginalmente a costruirlo, oggi lascio il PD dopo quindici anni di appassionata militanza.
E' una decisione personale che non impegna nessuno oltre il sottoscritto. Del resto, come sapete, in coerenza con le posizioni espresse durante il nostro ultimo congresso, la mozione Marino, di cui sono stato coordinatore provinciale, non s'è costituita in corrente, area politica, associazione culturale. Chi con me ha condiviso quella esperienza, dal 25 ottobre è un semplice iscritto al PD con le proprie idee e la propria autonomia di pensiero.
Lascio il PD, non per approdare altrove, ma semplicemente per sostenere e votare chi penso oggi ancora meriti, nonostante errori e ritardi, di essere il nostro rappresentante alla guida della Puglia.
Nessuna intenzione di santificare Vendola facendone un martire.
Ma neanche nessuna intenzione di subire una linea politica che considero sbagliata nel merito e nel metodo.
Durante il congresso più volte ci siamo detti che dopo le tante attese deluse dei nostri militanti il PD non si sarebbe potuto permettere ulteriori false partenze pena la fine anticipata del progetto del partito e il divorzio politico con gran parte del suo elettorato.
Per quel che mi riguarda tutto questo è purtroppo accaduto.

Cordialmente
Carlo Salvemini

Da Port-au-Prince pezzi di un viaggio.


di Doriana Goracci
Questo pezzo non apparirà io credo sul Fatto o sul Manifesto, come il precedente, sta sulla pagina da stanotte di RadicalShock. A maggior ragione passo anche a voi. Come si fa tra amici, quando resta poco e si condivide. Un pezzo, pezzi, brandelli, pezzi di Carta…il racconto verrà poi.Condivideremo anche quello mentre la luna avanza: so che tu ci stai veramente sul posto.Hola Federico!





diario da Port-au-Prince. Il viaggio.

Lascia perde che la gente ridotta a cadavere sta in mezzo alla strada da giorni. Lascia perde che come te giri trovi palazzi schiacciati come dei sènduicc. Lascia perde pure che le strade brulicano di persone che non si sa che cazzo fanno, do vanno, che non si capisce che cazzo dicono, che manco loro sanno che stanno a fa. Lascia pure perde che gli ospedali che sono rimasti in piedi sono stracolmi di poveracci a pezzi, e di fuori c’è gente che aspetta. Quello che proprio non si riesce a sopportare è l’idea che il peggio comincia mo.

Arrivando dalla strada sterrata che dalla Repubblica Dominicana porta a Port-au-Prince uno arriva piano piano dall’America latina all’Africa. Le facce, le espressioni, la lingua, un creolo bastardo che ha di francese molto poco che comunque non si capisce.

Poi si arriva alla capitale. Si capisce perché ci sono i palazzi. No. Si capisce perché ci sono tutti dei mucchi di robba sfondata che se uno ci guarda bene e ha immaginazione potrebbero essere stati palazzi.

Le strade sono piene di gente che cammina cammina cammina. Loro vanno. cercano di uscire. Cercano di entrare. si spostano. E tutti hanno una faccia a punto interrogativo.

C’è un gruppo di gente ammassata al bordo della strada. non del marciapiede perché mi sa che qua marciapiede non ci sta manco sul vocabolario straniero/creolo, proprio sulla strada dove scorre un rigagnolo di acqua sporca vicino a una specie di tubo che spunta da terra. Lì si prende l’acqua. Da bere.

Tra qualche giorno una dottoressa che viene dal Cile a riconoscere i cadaveri negli hotel mi dirà che la malaria e il colera si trasmettono bevendo acqua infetta con gli umori dei cadaveri lasciati per strada. Ma questo adesso ancora non lo so. E non ho ancora visto il sorriso stanco di questa donna mentre cerca di spiegarmi l’orrore. Per cui per me sono solo persone che si procurano l’acqua in questo primo pomeriggio torrido di Haiti. Sono passati poco meno di tre giorni dal terremoto e non si cammina per la strada.

La nostra formazione, partendo alle 2 di notte accodati al convoglio CNN con una Honda ad assetto ribassato da Santo Domingo 12 ore fa è la seguente: al volante Juan, un taxista dominicano che si fa un sacco di risate fino alla frontiera, pure se gratta pesantemente l’albero motore e la coppa dell’olio ad ogni cazzo di dosso (contati almento 17mila). Dopo la frontiera capisce che ha fatto una cazzata a farsi trascinare qui. Capisce che la macchina la butterà. Se non se lo mangiano prima. Chiede informazioni in spagnolo alle donne sul ciglio della strada (che con ogni probabilità potrebbero ucciderlo a mani nude in tre mosse) rivolgendosi a loro dicendo “hola morena, como ehtá?”. Credo che pensasse che Port au Prince fosse un quartiere popolare di Santo Domingo.

A lato del pilota c’è il fotografo di Centocelle che vive nella Repubblica Dominicana, Emiliano Larizza. Capelli ricci biondastri tenuti in una coda alta. Occhio azzurro e macchina fotografica sempre in mano. Parla uno spagnolo con accento romano, poi all’improvviso parla romano con tutti. E tutti lo capiscono. Ha un cuore gigante e divide con tutti le razioni di crackers e barrette energetiche. A vederlo così non diresti che tra una settimana gli pubblicano un intero reportage sul Guardian. Soprannome: “er Principe”

sedile posteriore. Alla sinistra il Maestro Fabietto Cuttica. Uno dei membri anziani della spedizione. Fotografo raffinato noto nell’ambiente della malavita colombiana. Vive a Bogotà. è un fotografo Contrasto, riccetto, brizzolato, occhialetti e battuta sempre pronta. Grazie al fatto che è uno di quelli che piace alle donne ma anche alle loro madri, il suo soprannome di battaglia sarà: “Cutie”

Nel mezzo, buttato, accartocciato, lamentoso, alla continua ricerca di un cellulare (tanto che alcuni giorni dopo verrà accusato ingiustamente di volerne rubare uno dalle mani di una donna rimasta sotto le macerie, informazione poi smentita completamente), il mio fratello colombiano, l’ex rasta, quello che si è trasferito in Colombia per l’unica ragione che vale veramente la pena, la fauna femminile senza pari. Il fotoreporter d’assalto Simone Bruno. Nome di battaglia, a causa della storia del cellulare e di altre situazioni estreme: “lo Sciacallo” (o semplicemente “Shacky”)

Infine sul lato destro della macchina risiedo io. Il vostro reporter preferito. Che ancora non capisce cosa sta facendo qui, quando 24 ore prima era intento a trovare un buon posto per mangiare con una donna nella rutilante vita cosmopolita di Città del Messico. Nome di battaglia che mi porto appresso da avventure precedenti: “el Zopilote” (che vuol dire avvoltoio). Ma qui, dato che ho scritto un romanzo di grande successo, che ancora non è stato pubblicato mi chiamano: “er Famoso” (anche per una torbida storia di sesso di cui si racconterà nelle mie biografie)

Dunque l’ingresso in città non è affatto trionfale. Rimaniamo bloccati tra le tragedie altrui per un’ora. Prima di capire che dobbiamo cercare al più presto una base operativa.

Intorno a noi c’è la morte. Ma noi cominceremo a vederla nei prossimi giorni. Per ora cerchiamo un riparo. O magari un pavimento su cui dormire.

La giornata sarà ancora lunga. Ma qui la luna avanza e i ricordi faticano ad affiorare. Seguirà nei prossimi giorni il racconto


da Reset-Italia

GIU' LE MANI DALLA VAL SUSA - IDEALMANETE INSIEME AI RESISTENTI NO TAV











Processo-breve, condonati 500 mln


Il processo breve approvato oggi non cancellerà solo i dibattimenti ma anche «almeno 500 milioni di euro» che sindaci, parlamentari, ministri e sottosegretari hanno rubato allo Stato truffando e sprecando. Soldi che devono essere restituiti in base alle sentenze della Corte dei Conti. Ma che il ddl 1880 Gasparri-Quagliariello, più noto come «processo breve», nella sua versione corretta e allargata anche ai procedimenti contabili e societari cancella in un colpo solo.
Quando ieri pomeriggio l’aula di palazzo Madama ha messo ai voti la norma transitoria che cancella i processi in corso, il senatore Casson (Pd) lo ha detto chiaro: «Siamo arrivati al vero motivo di questa legge, la norma che non serve solo per cancellare ui processi di Berlusconi ma serve anche anche ad un vostro sindaco, ad un vostro ministro e ad altri che non dovranno più risarcire lo Stato di circa 500 milioni di euro».

Ancora più esplicito Gianpaolo D’Alia (Udc) che rivolto ai banchi della Lega avverte: «Una volta passata questa legge non potrete più fare gli sbruffoni in nome della certezza della pena e contro Roma ladrona perchè non approvate non solo un’amnistia ma anche un clamoroso condono contabile che salverà molti vostri amministratori». Mentre le opposizioni prendono la parola in aula, l’agenzia Ansa pubblica l’intervista al procuratore della Corte dei Conti del Lazio Pasquale Iannantuono che fa nomi e cognomi dei possibili beneficiari della norma: il viceministro Roberto Castelli e il sindaco di Milano Letizia Moratti ma anche lo stesso relatore del processo breve, il senatore Giuseppe Valentino, i deputati Iole Santelli e Alfonso Papa, tutti del pdl. E ancora, cinque membri del vecchio Cda Rai in quota centrodestra tra cui l’ex dg Flavio Cattaneo e l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco per la nomina di Meocci.

I gregari imitano il Capo. E se il Capo governa approvando leggi su misura, altrettanto fanno i gregari. Inutile stupirsi, quindi, se il relatore al Senato del processo breve Giuseppe Valentino introduce una norma per salvare se stesso dalla Corte dei Conti. E, se lo stesso fa il viceministro Castelli che, membro della Commissione Giustizia, ha aiutato Valentino a buttar giù il testo del maxiemendamento che oltre alla prescrizione penale ha introdotto anche quella contabile e per le società.

I benefici per la casta sono solo «l’ultimo scempio» - dice il Pd - in tema di giustizia di cui «questa maggioranza si dovrà assumere tutta la responsabilità politica e morale davanti al Paese». Il Pd ieri ha fatto l’unica cosa che ormai poteva fare: ripetere fino all’ossessione «lo scempio» e il «cinico progetto di disarticolazione della giustizia». Sotto la regia di Silvia Della Monica (capogruppo in Commissione Giustizia), di Giovanni Legnini e di una infaticabile Maria Incostante, i senatori hanno ricordato ad ogni dichiarazione di voto «lo scempio della giustizia» e «la rinuncia dello Stato a combattere la corruzione» accusando «una maggioranza ridotta a meri esecutrice di ordini».

Prima Carofiglio, poi Adamo, Maritati, Fassone, Franco... Al quarto intervento maggioranza e Lega hanno capito e hanno cominciato a fischiare, a lamentarsi. Il senatore Piero Longo, il vero king maker del processo breve, ha creduto a un certo punto di spezzare il gioco definito «elegante tantra che ha creato in aula un’atmosfera vagamente orientaleggiante». Voleva dire mantra, ma chissà. E comunque, per non essere da meno, il tutto-d’un-pezzo Longo ha intonato a sua volta il coretto: «Are krishna-krishna are». E via di questo passo. Anche il presidente Schifani ha provato ad interrompere la provocazione dei senatori del Pd, chiedendo interventi nel merito dopo che nelle ultime settimane ha fatto di tutto per non far discutere nel merito articoli ed emendamenti. Ha perso la pazienza anche uno come Luigi Zanda (Pd) che ha accusato Schifani «di aver avuto fin dall’inizio un atteggiamento negativo nei confronti delle opposizioni. Un modo di fare che non ci ha convinto affatto». La seduta finisce con l’Idv che occupa i banchi del governo. Un pessimo clima. E nessuno parla più di dialogo.

Poi arriva l'immancabile colpo finale. Le corti di tribunale in Italia sono come «plotoni di esecuzione», ha detto Berlusconi, precisando di non sapere se si presenterà in aula nelle udienze che lo vedono come imputato. «I miei avvocati insistono che se andassi in tribunale non mi troverei davanti a corti giudicanti ma a dei plotoni di esecuzione», ha detto Berlusconi al termine dell'incontro con Camillo Ruini, a cui ha partecipato anche il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta. «Non so se andrò, sto discutendo con gli avvocati», ha aggiunto il capo del governo.

da Indymedia

I sorrisi dei bambini prima del lager

Rastrellati il 16 ottobre 1943, uno solo tornò

C'è un ossario digitale di bambini ebrei, da questa mattina, online: le foto di Fiorella e Samuele, Roberto e Giuditta e tutti gli altri piccoli, coi fiocchi tra le trecce e il triciclo e il vestito da marinaretto, scattate prima che fossero caricati sui treni per Auschwitz. Dal solo ghetto di Roma ne portarono via 288: quelli che passarono per il camino furono 287.E intanto gli opuscoli del Terzo Reich incoraggiavano le mamme germaniche: «Offrite un bambino al Führer ché ovunque si trovino nelle nostre province tedesche gruppi di bambini sani e allegri. La Germania deve diventare il Paese dei bambini».

Ferma il respiro, rileggere quelle righe propagandistiche della dispensa Vittoria delle armi, vittoria del bambino o i proclami nel Mein Kampf di Adolf Hitler («Lo Stato razzista deve considerare il bambino come il bene più prezioso della nazione») mentre riaffiorano su internet quelle immagini di piccola felicità familiare e domestica. Per questo, 66 anni dopo la retata del 16 ottobre 1943 e dieci dopo l’istituzione nel 2000 del Giorno della memoria, il Cdec, il Centro documentazione ebraica contemporanea, ha deciso di metterle online. È sulla rete, inondata di pattume razzista, che si trovano migliaia di rimandi a siti che strillano «L’olocausto, una bufala di cui liberarsi» e «Il diario di Anna Frank: una frode» o arrivano a sostenere che ad Auschwitz c’era una piscina «usata dagli ufficiali delle SS per guarire i pazienti». È sulla rete che siti multilingue di fanatici sedicenti cattolici («Holywar»: guerra santa) si spingono a indire un «giorno della memoria» per ricordare «l’olocausto comunista perpetrato dalla mafia razzista ebraica responsabile dello sterminio di 300 milioni di non ebrei». È sulla rete che sono approdate canzoni naziskin come quella dei «Denti di lupo» che urlano «quelle vecchie storie / sui campi di sterminio / abbiamo prove certe / son false e non realtà» e «Terra d’Israele, terra maledetta! / I popoli d’Europa, reclamano vendetta!» e ancora «Salteranno in aria le vostre sinagoghe / uccideremo tutti i rabbini con le toghe...». Ed è sulla rete, perciò, che doveva essere eretto questa specie di sacrario virtuale che ci ricorda come l’ecatombe successe solo una manciata di decenni fa. Un battere di ciglia, nella storia dell’uomo.

Sono le fotografie che i parenti scampati al genocidio consegnarono via via, a partire dalla liberazione di Roma, al Comitato ricerche deportati ebrei (Crde) che tentava in quegli anni di ricostruire il destino degli italiani marchiati dal fascismo con la stella gialla e mandati a morire nei lager: «Questa è mia sorella Rachele...» «Questo è mio fratello Elio con sua moglie...» «Questi sono i miei nipotini Donato e Riccardo...». Quelli del Crde raccoglievano le immagini, le pinzavano su un cartoncino azzurro, ci scrivevano i nomi e inserivano le schede al loro posto, negli archivi dell’orrore. Furono rarissimi, ad avere la fortuna di veder tornare un loro caro. Dei 1.023 ebrei rastrellati quel maledetto «sabato nero» dell’ottobre ’43, rientrarono vivi a Roma solo in 17. E tra questi, come dicevamo, solo un bambino dei 288 che erano stati portati via. Una strage degli innocenti. Uguale in tutta l’Italia. Il dato più sconvolgente della strage, scrivono appunto Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida ne Il futuro spezzato: i nazisti contro i bambini, è «l’altissimo numero delle vittime più giovani, dei bambini e dei ragazzi ebrei: complessivamente i morti, da zero e 20 anni, ammontano a 1.541». Di questi, i figlioletti con pochi mesi o pochi giorni di vita furono 115.

Fatta salva una mostra organizzata a Milano per ricordare la Liberazione, le foto di quei piccoli, accanto a quelle di distinti signori con il panciotto come Enrico Loewy, floride matrone come Lucia Levi, ragazze nel fiore della bellezza come Laura Romanelli, famigliole intere come quella di Benedetto Bondì, sono rimaste per anni e anni dentro un faldone dell’archivio del Cdec. Riaprire oggi quel faldone, per far vedere a tutti i volti di quegli italiani schiacciati sotto il tallone dai nazi-fascisti, non è solo un recupero della memoria. Restituire a quegli ebrei una faccia, un nome, un cognome, qualche briciola di storia personale, come già aveva fatto ad esempio ne Il libro della memoria — Gli ebrei deportati dall’Italia quella Liliana Picciotto di cui è in uscita L’alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, vuol dire strappare ciascuno di loro all’umiliazione supplementare. L’essere stati uccisi come anonimi. Riconoscibili l’uno dall’altro, come il bestiame, solo per i numeri marchiati a fuoco sul braccio. Ed ecco il passato restituirci bambini, bambini, bambini. Come Fiorella Anticoli, che aveva due anni e due grandi nastri bianchi tra i boccoli. Graziella Calò, che in piedi su una sedia pianta le manine sul tavolo per non cadere. Olimpia Carpi, infagottata in un cappottino bianco. E Massimo De Angeli che dall’alto dei suoi quattro o cinque anni bacia il fratellino Carlo appena nato. E poi Costanza e Franca ed Enrica il giorno che andarono al mare a giocare col tamburello sulla battigia. E Sandro e Mara Sonnino, un po’ intimoriti dalla macchina fotografica mentre la mamma Ida sprizza felicità. Sono 413, gli ebrei delle foto messe in rete all’indirizzo www.cdec.it/voltidellamemoria. Quelli tornati vivi furono due: Ferdinando Nemes e Piero Terracina. Tutti gli altri, assassinati. Buona parte lo stesso giorno del loro arrivo ad Auschwitz, come il 23 ottobre 1943 la romana Clelia Frascati e i suoi dieci figli, il più piccolo dei quali, Samuele, aveva meno di sei mesi. «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata», ha scritto ne La notte lo scrittore e premio nobel Elie Wiesel, «Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede».

Sono in troppi, ad aver fretta di dimenticare. O voler voltar pagina senza riflettere su quello che è successo. A rovesciare tutte le colpe sui nazisti. Quelle foto, due giorni dopo l’amaro riconoscimento del Papa su quanti restarono indifferenti, ci ricordano come andò. E magari è il caso di rileggere, insieme, qualche passo di quel libro di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida. «I bimbi ebrei sono anche vittime di una ulteriore piaga che infuria nei mesi dell’occupazione nazista, quella della delazione: secondo la sentenza emessa dalla corte di assise di Roma nel luglio 1947, un gruppo di sei spie italiane che agiscono nella capitale vendono i bambini ebrei a mille lire l’uno e i militi italiani si distinguono in dare loro la caccia, come l’appuntato dei carabinieri che arresta nel febbraio 1944 a La Spezia Adriana Revere, di nove anni...».

Gian Antonio Stella

http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_19/ossario-virtuale-stella_f02e8b56-04c4-11df-aece-00144f02aabe.shtml

da Antifa

Bettino Craxi, una vergogna italiana


In questi giorni si è assistito alla vergognosa celebrazione di un corrotto e ladro uomo politico,Bettino Craxi.

Trovo vergognoso che una classe politica e giornalistica faccia passare quest'uomo per un grande statista quando ha portato il debito pubblico a livelli altissimi,dove la corruzione regnava sovrana,dove ogni opera pubblica costava il doppio o il triplo per via delle tangenti che il suo ed altri partiti riscuotevano ai danni dei cittadini.

Trovo vergognoso il discorso di Napolitano che da questo momento (già avevo dei dubbi) non mi rappresenta più.
E' ovvio che i ladri e i corrotti celebrino il loro leader carismatico ma un paese che non si ribella a questo scempio della verità è un paese che non ha futuro.Un paese allo sbando in mano ad una accolita di cialtroni corrotti servi di un padrone che era un intimo amico di Craxi e che ha usufruito del suo aiuto per espandere il suo potere,al punto da prenderne il posto.

Trovo vergognoso che un direttore del tg1 paragoni Craxi ad un martire.

SVEGLIA POPOLO ITALIANO CACCIAMO VIA QUESTI LADRI DAL NOSTRO PARLAMENTO,la nave affonda e loro sono al sicuro con i loro doppi e tripli stipendi,un nanetto insolente e presuntuoso dice ai ragazzi di 18 anni che per legge dovrebbero andar via di casa,per andare dove? A mettersi al servizio di un politico e leccargli il culo nella speranza di un posto di lavoro?Ci viva lui con 500 euro al mese in un un call center.

Questo paese sta sprofondando nella merda fino al collo e loro ci dicono che va tutto bene.Le poche voci libere che cercano di stabilire la verità vengono zittite e additate come seminatori di odio.Bisogna fare qualcosa è al più presto o sarà troppo tardi.
Povera Italia.

da Indymedia