HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

giovedì 23 luglio 2009

Il prezzo della democrazia

Intervista al presidente eletto dell'Honduras, Manuel Zelaya

Dopo la conclusione della conferenza stampa con il presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya Rosales, che si è svolta nell'ambasciata honduregna a Managua, salgo sulla macchina con cui si spostano il presidente ed il suo ministro della Presidenza, Enrique Flores Lanza, diretti ad un'intervista con un canale televisivo internazionale.
Mancano pochi giorni o forse poche ore all'atteso ritorno del presidente Zelaya in Honduras, e nell'oscurità dell'auto cominciamo questa intervista in esclusiva per il Sistema informativo della UITA.
In questi giorni ha annunciato la sua intenzione di ritornare in Honduras a qualunque costo. È una decisione definitiva?
Non si tratta di qualcosa che attenta contro la stabilità del paese, al contrario è la ricerca di una soluzione e della stabilità. Speriamo che alla fine sia il modo migliore per iniziare un dialogo interno per risolvere il conflitto e porre fine alla repressione contro il popolo honduregno.

Un dialogo con chi?
Con il popolo, perché in una democrazia è il popolo che comanda. I gruppi di potere che hanno imbracciato le armi sono gruppi repressivi e devono smettere di esercitare un mandato che la popolazione non ha dato loro.

Che cosa le ha fatto più male di questo colpo di stato contro la sua persona ed il suo gabinetto di governo?
Mi fa male che stiano distruggendo il paese, che la società stia soffrendo, che stiano cercando di distruggere con l'uso delle armi i progressi fatti e gli sforzi di tante generazioni.

Il governo de facto è completamente isolato a livello internazionale ed affronta una forte ed instancabile resistenza interna da parte dei movimenti popolari. Nonostante ciò, continua a mantenere un atteggiamento intransigente. Si è domandato se si tratta solamente di irresponsabilità o se conta sul sostegno di attori esterni?
Sono come le fiere della foresta che si afferrano al loro cibo. Considerano che l'Honduras sia una propria azienda, una proprietà da sfruttare e sono un gruppo di dieci famiglie che vogliono mantenere le loro prebende economiche ed i loro privilegi. È una paura infondata perché nessuno sta attentando contro di loro, tuttavia credono che lo sviluppo democratico li possa colpire e quindi non accettano la democrazia.

Durante la conferenza stampa ha detto che ci sono settori politici della destra nordamericana che hanno sostenuto il colpo di stato e che lo continuano a fare. È convinto del coinvolgimento di questi settori?
Ci sono state manifestazioni pubbliche di queste persone schierandosi a favore del golpe, e tra di esse ci sono senatori e congressisti nordamericani.
Il signor Otto Reich è un ex sottosegretario di Stato per l'emisfero occidentale ed ha dichiarato di essere a favore del colpo di stato e lo stesso hanno fatto molte altre persone di spicco negli Stati Uniti. Ci sono quindi le prove, le evidenze, che dietro al golpe ci sono i falchi dell'ex presidente George W. Bush.

Che importanza ha avuto il movimento popolare, sociale e sindacale nell'opposizione al processo di consolidazione del colpo di stato?
Sono i protagonisti della difesa della democrazia, perché considerano che la democrazia sia lo strumento per raggiungere le conquiste sociali. Stanno combattendo contro il golpe e non smetteranno di farlo fino a quando non vengano corretti gli effetti di questo oltraggio contro del popolo honduregno e contro la democrazia.
I golpisti stanno sfidando il mondo e bisogna fermarli, creando un precedente prima che sia troppo tardi.

La UITA ha seguito gli avvenimenti a fianco dei movimenti popolari, prima, durante e dopo il colpo di stato. Per queste organizzazioni ci sono due elementi che non possono essere negoziati: il rifiuto di un'amnistia per i golpisti e che si continui con il processo della IV urna e della creazione di un'Assemblea Costituente. Che cosa ne pensa di questi due punti?
Sarebbe ridicolo premiare i golpisti per ciò che hanno fatto. Credo che la posizione dei movimenti sociali punti a una soluzione del conflitto, ma che allo stesso tempo non ci siano premi o perdono per i delitti penali e comuni che si sono commessi. Credo anche che i sette punti proposti dal presidente Oscar Arias parlino di amnistia politica, ma non per i delitti comuni e penali. Per ciò che riguarda le riforme sociali, credo che il fatto di cercare una nuova strategia per continuare con queste riforme debba fare parte di un processo di ampia discussione all'interno della società honduregna. Non bisogna frenare le riforme sociali e neanche il diritto di partecipazione diretta della popolazione, perché sono diritti costituzionali. In questo senso, i punti di Oscar Arias non sono stati discussi come ci si aspettava e questo perché i golpisti non accettano la ricomposizione del sistema democratico, ma vogliono un regime de facto che non risponde alla legge. La cosa peggiore è che lo vogliono mantenere per mezzo della violenza e questo non lo possiamo accettare.

Si è detto che ci sono due elementi fondamentali nella ricerca di una soluzione al conflitto: la posizione degli Stati Uniti ed il ruolo Forze Armate. È d'accordo?
Oggi (22 luglio) abbiamo inviato una lettera al presidente Barack Obama chiedendogli rispettosamente di intensificare le misure non solo contro lo Stato repressivo, ma anche contro le persone che hanno cospirato ed eseguito il colpo di stato. Ora aspettiamo una risposta con l'obiettivo che queste misure aiutino a ristabilire veramente l'ordine ed il sistema di diritto. Se questo non accadesse resteremmo in uno stato di estrema precarietà, non solo io che sono stato vittima di un golpe per aver difeso i diritti della società, ma tutta la popolazione. Credo che il presidente Obama non abbia solo meccanismi diplomatici per creare pressione e spero che usi tutti i mezzi necessari, come hanno già fatto gli altri paesi dell'America Latina.
Rispetto al tema delle Forze Armate, se esse servissero solo per dare colpi di stato logicamente dovremmo valutarne il ruolo. Credo comunque che in questo caso sia stata solo una cupola ad ordinare il golpe. Sono sicuro che gli ufficiali e la nuova generazione di soldati che riceveranno una Forza Armata macchiata di sangue non saranno d'accordo con quanto successo.

Si avvicina il momento del suo ritorno in Honduras. Non ha paura di essere arrestato o peggio ancora, assassinato?
Io non ho nessuna paura, ma è logico che sia prudente e che prenda le dovute precauzioni. Quando la vita ha un senso bisogna darle il senso dello sforzo e della compensazione dello sforzo. A volte il sacrificio è necessario per ottenere conquiste sociali, e sono disposto a fare questo sforzo per la libertà, la democrazia e la pace del paese.

Ha chiesto agli organi di stampa di accompagnarlo nel tentativo di ritornare in Honduras. È una proposta reale?
Ho chiesto che mi accompagnino. Sto rischiando tutto ed il mondo sta rischiando con me sostenendo il mio ritorno. Ho già detto che se dovesse capitarmi qualcosa, il generale Romeo Vásquez Velásquez sarà il responsabile della mia morte.

da PeaceReporter

Via Rasella, colpo al revisionismo

Dunque, una sentenza – quella che dà ragione alla figlia di Bentivegna, nella sua causa al quotidiano Il Tempo che aveva definito “massacratori” gli autori dell’attentato di via Rasella – che aiuta a edificare una ormai ineludibile barriera contro le mistificazioni del revisionismo “rovescista”. Certo, la difesa contro i Pansa, i Vespa e la loro compagnia di giro dovrebbe innanzi tutto venire dalla storiografia, ma ben venga tutto quanto può servire a frenare la libido di costoro che si appaga nell’attività volta a ribaltare la realtà dei fatti, e gettare ignominia sul movimento partigiano. In relazione al principe dei rovistatori della Resistenza –coloro che scavano nel fondo del barile sperando di trovare nefandezze per mostrare, come asseriscono, “l’altra faccia della medaglia”, e quando non le trovano si affidano all’inventiva – ossia il noto Pansa, Giorgio Bocca aveva invocato il divieto di scrivere, o addirittura il carcere. Io sono per la libertà. Ma sono anche per non far passare sotto silenzio scempiaggini e falsità da costoro propinate a un vasto pubblico. Occorre ribattere colpo su colpo: anzi, è tempo di passare al contrattacco.
Costoro, con libracci da 700 mila copie (?), grazie all’occupazione della radio e della televisione e addirittura la trasposizione televisiva o cinematografica dei loro prodotti, hanno creato un senso comune che si può riassumere nei seguenti punti: a) la Resistenza è stato un fattore politicamente e militarmente irrilevante, ininfluente nella caduta del fascismo e nella sua sconfitta; b) i partigiani erano un’infima minoranza della popolazione, e il loro ruolo fu pari a quello dei saloini, gli uni e gli altri, se si vuole, in buona fede, dominati da un credo fanatico, rispetto al quale gli italiani si chiamarono fuori; e ci furono eroi e canaglie tra gli uni e gli altri, equamente ripartiti; anzi, a ben vedere, le canaglie furono più numerose tra i partigiani o sedicenti tali; c) nella Resistenza il Partito comunista esercitò non solo un’egemonia politica, ma un ferreo dominio militare, eliminando senza pietà chi non era allineato, salvo nel dopoguerra “appropriarsi” del suo significato per autolegittimarsi come forza politica democratica; d) questa “verità” storica è stata per decenni “negata” dall’occhiuta egemonia gramscian-togliattiana, e ancora oggi sono numerosi gli storici “di parte” che per viltà o per fedeltà alla linea (?), continuano a ripeterla, mentre finalmente sono arrivati sulla scena gli Zorro vendicatori, che ci raccontano la storia “negata”, “nascosta”, “sequestrata”.
Questo insieme di argomenti, reiterati e sparsi su ogni centimetro dell’etere internautico, oltre che sui media, sta permeando la mentalità degli italiani, sta diventando, appunto, senso comune. E contro questa operazione, che ha superato da tempo i limiti della decenza (come per esempio col cambiamento proposto da Berlusconi di derubricare il 25 Aprile da festa della Liberazione, a festa della Libiertà o col disegno di legge, ora accantonato, di equiparazione tra partigiani e repubblichini), si deve reagire. Storiograficamente, in primis, e culturalmente, in generale; ma anche giudiziariamente, e politicamente. Una volta si ripeteva: “Vigilanza democratica” e “Mobilitazione antifascista”. E se rispolverassimo queste parole d’ordine, dando loro un senso nuovo, che la cupezza dei tempi rende urgente?

da Il Manifesto

Capitan vergogna condannato a 12 anni

Condannato a 12 anni il capitano che rigettò un migrante somalo in mare, condannandolo a morte certa. Sotto gli occhi increduli degli altri profughi e dell'equipaggio. Intanto la Cap Anamur e i pescatori tunisini che salvarono dei migranti caduti in mare rischiano un condanna per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Omicidio volontario. Con questa accusa la Corte di Agrigento ha condannato ieri in primo grado il pescatore barese, comandante Ruggiero Marino. Il 10 gennaio 2008 ributtò in mare uno dei passeggeri di un gommone alla deriva intercettato al largo di Lampedusa. La vittima, un 37enne somalo di nome Mohamud Ahmed Mohamed, detto Sanwà, morì annegato. Marino dovrà scontare 12 anni di carcere. La pena è stata ridotta di un terzo per il rito abbreviato. Al comandante sono state riconosciute le attenuanti generiche essendo incensurato. Marino è stato anche condannato a risarcire un gruppo dei compagni di viaggio di Sanwà, che si erano costituiti parte civile.

Ecco la ricostruzione dei fatti.
Quando Mohamed Ahmed Abdissalam telefonò al fratello, a Tripoli, gli rispose il coinquilino Garane Alì. «Sanwà è partito la settimana scorsa», gli disse. Mohamed rimase in silenzio. Dagli Stati Uniti, dove viveva, chiamava ogni due settimane Sanwà. Lo avevano aiutato con i soldi a partire da Gaalkacyo, in Somalia, e a attraversare il deserto per arrivare in Libia. Se era a Lampedusa perchè non lo aveva ancora avvisato? «È morto», aggiunse dopo un attimo di silenzio Garane. Lo aveva saputo da una donna somala che aveva chiamato in Libia qualche giorno prima, dall’Italia. Mohamed non chiese altro. Riagganciò e corse a comprare un biglietto per Roma, sicuro che avrebbe ritrovato il fratello.

Sanwà partì dalle coste libiche la notte tra il 6 e il 7 gennaio del 2008. Su un gommone. Erano circa 60 persone, somali e nigeriani. Le donne stavano al centro dell’imbarcazione per ripararsi dagli spruzzi del mare. Quella stessa mattina, mentre il gommone usciva dalle acque territoriali libiche diretto a nord, il peschereccio pugliese Enza D levava l’ancora dal porto di Siracusa per andare a pescare a sud di Lampedusa. Alla terza notte di navigazione, sul gommone erano rimasti senza gasolio. Con il poco carburante rimasto, si avvicinarono a un peschereccio, per chiedere aiuto. Quel peschereccio era l’Enza D, che poco distante, alle prime luci dell’alba, stava salpando le reti. Giunto sottobordo, il gommone spense il motore, e i passeggeri iniziarono a chiedere aiuto, in inglese. Ripetevano «diesel» agitando in aria la tanica vuota.

A un tratto uno di loro si alzò in piedi e si aggrappò al bordo dell’imbarcazione, con le poche forze rimaste. Uno dei marinai corse a aiutarlo. Lo teneva stretto per il giubbotto, con entrambe le mani, finché non riuscì a issarlo a bordo. Intanto il comandante aveva acceso i motori e si stava allontanando dal gommone prima che ne salissero altri. L’uomo a bordo era Sanwà. Giaceva a terra implorando aiuto con un filo di voce, mentre il comandante Ruggiero Marino correva avanti e indietro dalla cabina alla poppa. Continuava a gridare ai suoi uomini: «Qua passiamo tutti dei guai». Pochi minuti dopo i marinai udirono il tonfo in acqua. Qualche disperata bracciata e Sanwà scompariva per sempre, trascinato a fondo dal peso dei vestiti ammollati. I marinai non volevano credere a quello che avevano appena visto. Alcuni scoppiarono a piangere come dei bambini, altri andarono a nascondersi in coperta. Nessuno di loro era stato in grado di fermare il capitano. Ruggiero si rifece vivo soltanto dopo un paio d’ore. Bisognava calare le reti. La pesca riprendeva.

È passato un anno da allora, e gli avvocati di Ruggiero hanno chiesto il rito abbreviato. Tutte le testimonianze sono contro di lui. Quelle dei profughi e quelle dei marinai. L’accusa è di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, e di omissione di soccorso. Il processo si è aperto il 6 febbraio 2009 al Tribunale di Agrigento. Il pubblico ministero ha chiesto l’ergastolo. Ruggiero non ha mai ammesso di aver ucciso Sanwà. Ha detto però che temeva «rogne». Che con un «clandestino» a bordo, gli avrebbero sequestrato il peschereccio e avrebbe perso tre o quattro giornate di lavoro. Basterà una sentenza a dare pace al signor Mohamed Ahmed Abdissalam, partito dagli Usa per riabbracciare il fratello e finito a testimoniare al processo per il suo omicidio?

Intanto lo stesso Tribunale di Agrigento ha rinviato a ottobre la sentenza del processo alla Cap Anamur e ai pescatori tunisini, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver salvato dei naufraghi in mare.

Che fossero forse questi i «guai» temuti dal capitano dell’Enza D?

www.redattoresociale.it

da Carta

Armi, l'Italia ancora al secondo posto

Il Graduate institute of international studies di Ginevra pubblica il rapporto annuale sulle armi piccole e leggere. L'Italia ancora una volta in pool position per esportazioni e scarsa trasparenza

«In alcune società post-conflitto, i livelli di violenza armata diretta sono comparabili, o superiori, ai livelli raggiunti durante i conflitti armati.
Le possibilità di ricaduta in un conflitto armato in società postbelliche sembrano essere maggiori delle probabilità che scoppi una guerra dove non ce ne sono mai state». Così spiega il rapporto annuale «Small arms survey», presentato nei giorni scorsi a Ginevra dal Graduate institute of international studies e di cui Giorgio Beretta dà anticipazione su Unimondo [www.unimondo.org].
In base ai dati del Comtrade Onu e altre fonti, il Small Arms Survey stima che il commecio legale di armi da fuoco nel mondo ha raggiunto i 1,58 mila milioni di dollari nel solo 2006. Il commercio illegale, che si conferma considerevole nonostante l’aumento nel registro dei commerci di armi da fuoco, potrebbe ammontare almeno a 100 milioni di dollari.
I dati del Comtrade Onu evidenziano un aumento del 28 per cento del commercio legale di armi piccole e leggere, come anche dei pezzi di ricambio, accessori e munizioni, dal 2000 al 2006.
Ed è proprio il settore delle munizioni di piccolo calibro quello che ha subìto la crescita più consistente, da cui provengono circa 183 milioni di dollari in più, con un aumento del 33 per cento.
Ma l’aumento percentuale più significativo l’hanno registrato gli accessori per pistole e revolver, con un incremento del 101 per cento, pari a 60 milioni di dollari.
I dati disponibili sulle armi da fuoco indicano che la stima di 4 milioni di dollari, corrispondente al commercio mondiale legale di armi piccole e leggere, è fortemente al di sotto della cifra reale.
Molti tra i principali paesi esportatori comunicano poche o parziali informazioni, come Bielorussia, Iran, Israele, Corea del nord e Sudafrica; mentre altri, tra cui Cina, Pakistan, Singapore e Russia, forniscono i dati relativi all’esportazione delle armi a uso civile, mentre non comunicano alcun dato riguardo le esportazioni di armi da fuoco a uso militare.
Tra questi anche l’Italia, al secondo posto, dopo gli Stati uniti, per esportazioni di armi piccole e leggere [con esportazioni annue di almeno 100 milioni di dollari], seguita da Germania, Brasile, Austria e Belgio, mentre i principali importatori [con importazioni annue di almeno 100 milioni di dollari] sono Stati uniti, Francia, Giappone, Canada, Corea del sud, Germania e Australia.
Ma tra tutti, solo Svizzera, Regno unito, Germania, Norvegia, Olanda Serbia e Stati uniti presentano dati «accettabili» secondo il «Barometro di trasparenza 2009», mentre Iran e Corea del nord sono gli esportatori con il minor grado di trasparenza.
Per quanto riguarda l’Italia, Beretta sottolinea che i dati forniti all’Onu riguardano solo le armi ad uso civile [polizia inclusa] mentre il commercio legale di quelle a uso militare è regolamentato dalla legge 185/90, che prevede un rapporto annuale al parlamento, normativa che fu il prodotto della mobilitazione della società civile e soprattutto delle associazioni di ispirazione cristiana e il mondo missionario, guidato dalla testata comboniana Nigrizia. «Una legge che era, e in gran parte resta, tra le più avanzate del mondo, nonostante gli emendamenti apportati nel 2003, a dispetto di una campagna di mobilitazione contraria – ricorda Beretta su Unimondo, che sta elaborando uno studio a 20 anni dalla sua approvazione -. Ora il problema da affrontare sono le nuove direttive europee in vigore dal prossimo anno, che autorizzano il libero commercio di armi da guerra tra tutti i 27 paesi membri, ma forse con un sistema di controllo non sufficientemente stretto per contrastare le triangolazioni verso paesi che non dovrebbero ricevere armi».

da Carta di Lucia Alessi

Protesta agricoltori a Brindisi: in duemila bloccano il porto

Circa duemila imprenditori agricoli della Coldiretti di Brindisi, Bari, Taranto, Lecce e della Basilicata hanno bloccato nel porto di Brindisi l'accesso al portale di Costa Morena dedicato allo sbarco delle merci. Gli agricoltori si mobilitano per la difesa di una filiera agricola tutta italiana con una serie di iniziative racchiuse dal titolo 'I pugliesi lo fanno meglio'. Nei carichi dei Tir "poche sorprese" secondo l'associazione agricola: "Mille quintali di olive in salamoia provenienti da Grecia e Cipro e diretti a Caserta e Bagheria, 20 camion da 300 quintali l'uno, pari a 6mila quintali di olio di palma proveniente dall'Indonesia, destinazione Olearia Italiana di Monopoli, 423 quintali di concentrato di pomodoro provenienti dalla Grecia destinazione Nocera Superiore". "Il tutto - è detto ancora nella nota di Coldiretti Puglia - fa il paio con la nave ormeggiata al porto di Bari, con un carico di 43 mila quintali di grano, pari alla produzione di 22mila ettari, e il Tir bloccato ieri al Brennero, con i pomidoro a grappolo prodotti in Olanda e diretti a Cerignola, con la raffigurazione della maglia poderale della provincia di Foggia sulla confezione da 3 Kg". "Non possiamo più consentire - spiega il Presidente della Coldiretti Puglia, Pietro Salcuni - da una parte il furto di identità e di immagine che vede sfacciatamente immesso in commercio cibo proveniente da chissà quale parte del mondo come Italiano, dall'altra parte il furto di valore aggiunto che vede sottopagati i nostri prodotti agricoli a causa di uno strapotere contrattuale da parte dei nuovi forti della filiera agroalimentare. Per Coldiretti il rispetto delle regole è fondamentale".

da La Repubblica

A rischio 500mila posti di lavoro. Allarme Cnel: ''Grande incertezza''

Roma, 22 lug. (Adnkronos/Ign) - "Le previsioni per i prossimi mesi sono molto incerte. La disoccupazione in Italia continuerà ad aumentare e il ricorso agli ammortizzatori sociali sarà ancora significativo. Il ricorso alla Cassa Integrazione nell'ultimo bimestre ha registrato un rallentamento ma resta su livelli assoluti molto elevati a testimoniare della profondità della crisi". Il futuro quadro del mercato del lavoro viene tracciato dal Rapporto del Cnel che stima per il 2009 "una perdita di posti di lavoro tra le 350mila e le 540mila unità se misurato in forze di lavoro e tra le 620mila e le 820mila in termini di Ula (unità lavorative annue). Lo stock di disoccupati potrebbe aumentare in una forchetta che oscilla tra 270mila e 460mila unità''.

''Il tasso di disoccupazione a fine anno potrebbe collocarsi, nella peggiore delle ipotesi, poco al di sotto del 9%. Cruciali - secondo il Cnel - nel determinare le caratteristiche e l'intensità della ripresa saranno gli ultimi mesi del 2009 e i primi del 2010". Per questo motivo "è importante che vi sia piena consapevolezza del fatto che nei prossimi mesi potrebbero rendersi necessari ulteriori interventi per estendere e rendere ancora più flessibili i sostegni al reddito".

"I risultati ottenuti dall'attuale sistema di ammortizzatori sociali (così come è stato rafforzato per il biennio) non eliminano la necessità di una riforma del sistema -di cui si parla dal 1997- ma ne possono consentire una discussione più equilibrata e più completa". Il Cnel porrà questo argomento al centro della riflessione dei prossimi mesi, unitamente a quella più complessiva sul futuro del sistema di welfare in Italia.

Il Cnel ritiene, inoltre, che una riforma degli ammortizzatori sociali debba tenere conto di alcuni elementi determinanti: "a) le condizioni di accesso ai sostegni al reddito e le compatibilità di un livello di carattere universale con i costi in termini di sostenibilità finanziaria; b) il rafforzamento delle azioni di formazione e di orientamento, ancora oggi troppo slegate dai bisogni reali del mercato del lavoro, se si vuole riorientare il sentiero di sviluppo dell'economia italiana sui cosiddetti green jobs o su i white jobs (lavori legati ai servizi socio-sanitario-assistenziali alla persona o alle famiglie); c) quale sistema di tutele e sostegni al reddito può essere possibile per il lavoro indipendente, la vittima più significativa di questa crisi. E questo è per il sistema produttivo italiano una perdita di grande rilevanza, che deve essere quantomeno attenuata".

Le indicazioni fornite dal Rapporto consentono di affermare che "siamo in una fase di forte difficoltà e di grande incertezza. Le scelte più importanti da parte delle imprese avverranno - si legge nel documento - con tutta probabilità nel prossimo semestre. La 'tesaurizzazione' del capitale umano dipenderà dalle scelte di politica economica nazionale ma anche dalla congiuntura internazionale. L'assetto del sistema di ammortizzatori sociali sarà determinante per garantire la necessaria coesione sociale e la tenuta del sistema produttivo".

Rispondendo a Bankitalia, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha voluto precisare che “in questa stagione non si può fare una riforma strutturale ed organica degli ammortizzatori sociali”. Né, ha detto intervenendo alla presentazione del Rapporto Cnel, "possiamo a regime pensare di proporre per periodi troppo lunghi misure di protezione del reddito”. "Noi non faremo – ha spiegato - il salario garantito per chiunque, comunque e a prescindere. Una parte di esclusione c'è". Agli inoccupati, ha spiegato, "dobbiamo dare molte canne per pescare, ma non pesci". In sostanza per Sacconi occorre mantenere un requisito d'accesso agli ammortizzatori: "Per accedere alla cassa integrazione devi aver lavorato".

In serata il ministro del Lavoro ha però annunciato in una nota, dopo la relazione del Governatore della Banca d'Italia nella sede parlamentare che ha espresso la posizione collegiale dell'Istituto, di aver ''chiesto l'opportunità di un utile confronto con i qualificati esperti del Servizio Studi della Banca d'Italia, verso i quali porto sincera stima, sulle caratteristiche del nostro mercato del lavoro e sui modi con cui dare la migliore protezione attiva ai disoccupati".

"L'esperienza positiva che stiamo registrando con gli ammortizzatori straordinari che abbiamo aggiunto a quelli ordinari - ha rimarcato - può consentirci di riflettere insieme sulla costruzione domani di una riforma strutturale e sulle modalità immediate di accompagnare reddito a vera formazione".

Emiliano: sondaggi ok; Vendola il più gradito

BARI - L’indagine svolta dall’Istituto Piepoli per «Il Riformista» tiene banco nel centrosinistra pugliese: per il presidente della Regione Nichi Vendola il consenso è al 54%, venti punti oltre il suo predecessore Raffaele Fitto (34%) e poco più della leader di «Io Sud» Adriana Poli Bortone. Ma è il giudizio sul governo Vendola (ovviamente precedente al rimpasto) a lasciare perplessi, equamente diviso tra soddisfatti (45%) e insoddisfatti (47%), con punte di eccellenza per il turismo (68%) e un fanalino di coda (lo sviluppo economico).

A raccogliere, però, più fiducia di tutti da parte dei pugliesi è Michele Emiliano, sindaco di Bari e segretario Pd, forte del 64% dei consensi e di un buon 50% nell’indicatore della conoscenza che di lui hanno i pugliesi. Insomma, una conferma - a pochi mesi dal congresso regionale del Pd e dalla campagna elettorale per le regionali del 2010 - che con Michele «il gladiatore» devono fare i conti tutti, nemici del Pdl e amici alleati, a cominciare da Nichi.

Intanto si muovono le acque nel Pd per le mozioni che si sfideranno al congresso. Mal di pancia nel fronte Bersani, che ha incassato il sostegno di Emiliano ma che ancora discute sul suo candidato regionale Decaro: ieri i Cristiano sociali guidati da Donata Lenzi, che appoggeranno Bersani, chiedono sia introdotta nello Statuto del Pd l'incompatibilità tra incarichi di partito e mandati elettivi. «Uno dei limiti è dire agli elettori una cosa per poi farne un’altra. Se uno è sindaco di Bari - ha detto Mimmo Lucà - non può fare il segretario regionale». Non intendono rinunciare alla sfida regionale anche quelli mozione Marino, guidati dalla parlamentare eletta in Puglia Paola Concia. «Confermo la decisione presa dal Comitato Nazionale della Mozione Marino: presenteremo un candidato in ogni Regione d’Italia, compresa la Puglia. Anche in Puglia stiamo lavorando ad un progetto che apra la strada ad un grande rinnovamento del partito», progetto che quasi certamente verrà affidato alla candidatura del leccese Antonio Rotundo.

Riscalda i muscoli, in attesa di sapere l’esito sul segretario regionale della riunione della mozione Bersani fissata per sabato - anche il fronte dei sostenitori di Franceschini. Lunedì approderà a Bari Piero Fassino, coordinatore nazionale della mozione, per discuterla con diversi parlamentari ed ex deputati (Giovanni Procacci, Giusi Servodio, Gero Grassi, Giovanni Battafarano, il responsabile regionale degli Ecodem Donato Piglionica), oltre ai consiglieri regionali (Enzo Russo, Enzo Cappellini, Sergio Povia, Donato Pentassuglia), il presidente della provincia di Taranto Gianni Florido e amministratori e consiglieri delle sei province. Sarà quella, forse, la sede in cui ufficializzare la discesa in campo di uno dei due candidati alla segreteria: Guglielmo Minervini e Fabiano Amati.

Assistenza sanitaria a tutti gli americani, Obama lancia la sfida: "La riforma si farà entro quest'anno"

Washington, 23 lug. (Adnkronos) - La riforma del sistema sanitario Usa è fondamentale nella "lunga strada" da percorrere per uscire dalla crisi economica dopo "la peggiore recessione" degli ultimi cinquant'anni. Lo ha detto il presidente Barack Obama in una conferenza stampa alla Casa Bianca, sottolineando che "la riforma del sistema sanitario non accrescerà il deficit. E' studiata per farlo diminuire".
"Gli americani sono comprensibilmente preoccupati per l'enorme deficit e debito che siamo fronteggiando ora", ha detto Obama, ma "dobbiamo cambiare il sistema sanitario, altrimenti non potremo sanare il buco". "La riforma della sanità - ha ribadito - è essenziale per il salvataggio della economia. Senza questa riforma si rischia di sbancare il bilancio federale" a causa degli aumenti vertiginosi dei costi degli aiuti sanitari agli anziani e ai poveri.

Il piano è fortemente osteggiato da repubblicani e democratici conservatori che temono forti ripercussini sul deficit federale. Un problema che Obama è possibile evitare usando meglio i fondi già disponibili (coprendo due terzi delle spese) e tassando i più ricchi (il terzo mancante dei costi).

Difendendo in tv il piano per estendere l'assistenza sanitaria a 47 milioni di americani che ne sono privi, una delle priorità della sua campagna elettorale, il presidente ha promesso la riforma entro quest'anno. ''Ho fretta -ha detto- perché oggi giorno ricevo lettere da famiglie tartassate dai costi per la salute".